La storia di Sadia comincia quando lei era bambina, in Somaliland. E comincia con una semplice domanda:
“Perché sta accadendo? Perché alle persone va bene che le ragazze soffrano?”
È questa la questione che la piccola Sadia si poneva. Il riferimento è a una delle più gravi violazioni dei diritti umani che una donna possa mai subire nella sua esistenza: stiamo parlando delle mutilazioni genitali femminili. Che, stando ai dati, riguardano circa duecento milioni di donne in tutto il mondo.
“Ho cominciato a cercare informazioni quando ancora non sapevo cosa realmente implicasse nella vita di una donna. Cominciai chiedendo a mia madre: Perché vorresti farlo alle tue figlie? Perché? Lei mi rispose che era per via della nostra religione ed è quello che ancora oggi viene detto per evitare qualunque confronto sull’argomento”.
In realtà, le FGM non hanno niente a che fare con questioni di carattere religioso: si tratta di una pratica che servirebbe a preservare la “purezza” della donna in vista del matrimonio.
“Allora” continua Sadia, “ne parlai con mio zio e lui ne parlò con un leader religioso. Scoprii in questo modo che la religione non richiede questa pratica, ma che molti pensano che sia così. Feci parlare mia madre con il leader religioso e così nella mia famiglia cominciammo a confrontarci sull’argomento”.
In Somaliland, un Paese dove le FGM sono praticate sul 97 percento delle donne e delle bambine, Sadia aveva già capito una cosa fondamentale: le mutilazioni genitali femminili sono soltanto un fatto culturale. E, quindi, è a livello culturale che bisogna agire per estirparle.
Ancora oggi, in Somaliland non c’è nessuna legge che vieti chiaramente le FGM. Ma Sadia è fiduciosa. Perché, finalmente, si comincia a parlare di un argomento che prima era considerato tabù. Lei sa che il cambiamento è possibile.
Sadia ora è il direttore di ActionAid Somaliland e si sta impegnando con tutta se stessa per aiutare il suo Paese.