Come vive in Etiopia una bambina di dieci anni? Si potrebbe provare a chiederlo alla piccola Leyla Hulchafo. Ha quattro fratelli e due sorelle, frequenta la quarta classe nella scuola primaria del villaggio di Wullo. E il suo compito per aiutare la famiglia è andare a prendere l’acqua.
Nell’Africa subsahariana, circa il 36 per cento della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Le fonti sono spesso inquinate, bisogna camminare per chilometri e chilometri prima di raggiungere una fonte d’acqua potabile. Un compito che ricade spesso su bambine e ragazzine.
Dietro i numeri, ci sono storie vere, come quella di Leyla. Lei stessa racconta:
- “Di solito impiego un’ora per andare a prendere l’acqua, ma solo quando non c’è coda. Quando ci sono altre donne, spesso mi aggrediscono o mi mandano via perché arrivo nell’orario in cui c’è più ressa ma lo faccio perché voglio riuscire ad arrivare puntuale a scuola”.
- Quando mi costringono ad andare via, vado a una fonte più lontana e ci metto anche quattro ore per portare l’acqua a casa. Così arrivo tardi a scuola e sono così stanca che non riesco a concentrarmi. Vorrei avere più tempo da dedicare allo studio e per giocare con i miei amici”.
In Etiopia, e in generale nell’Africa subsahariana, ci sono tante bambine che vivono nelle stesse condizioni di Leyla. Tante bambine che, non potendo ricevere un’istruzione adeguata, rischiano di essere condannate alla fame e alla miseria. Eppure, per aiutarle basterebbe davvero poco: sarebbe sufficiente costruire pozzi vicino ai villaggi.