Phillip Ireland è uno specialista di medicina d’urgenza presso il JFK Medical Centre di Monrovia, la capitale della Liberia. La sua storia comincia con un terribile mal di testa mentre stava partecipando a una riunione di lavoro. Non ci ha messo molto a capire di cosa si trattava. Perché aveva in cura due suoi colleghi che sono poi morti di Ebola.
La scoperta della malattia
“Quando sono tornato a casa” ci racconta Phillip, “ho detto alla mia famiglia di abbandonare immediatamente la nostra abitazione e andare a casa di un parente, per evitare ogni contatto con me”.
L’unica a non cedere alle richieste del medico è stata sua madre, che si è subito attrezzata per evitare il contagio. Phillip si è chiuso in camera da letto mentre la sua famiglia si stava preparando a lasciare la loro casa.
“Ricordo che la mia figlia più piccola – Precious, di sette anni – è venuta a cercarmi e ha aperto la porta della mia stanza. Voleva sapere cosa era successo a suo padre, perché era stato rinchiuso in stanza. Vedere mia figlia sulla soglia della porta e avere la consapevolezza di poterla esporre al contagio, è stato il momento più terribile di tutta l’esperienza di malato di Ebola. Le ho detto che papà era malato. Poi ho urlato con tutto il fiato che avevo in corpo, per chiamare qualcuno che venisse a portarla via subito”.
Il trattamento della malattia
La cura di Phillip è cominciata a casa perché nelle strutture sanitarie vicine non c’erano posti disponibili. Si nutriva principalmente di noci e foglie di Moringa. Ma una sera le sue condizioni sono peggiorate drasticamente. Stava perdendo i sensi. Stava morendo. Si è salvato grazie alla prontezza della madre: la donna era riuscita a chiamare un’ambulanza che lo aveva portato al centro di trattamento di Ebola più vicino.
Phillip ricorda così la sua esperienza nel centro di trattamento. “Era come essere faccia a faccia con la morte ogni istante. Intorno a me gli altri pazienti morivano. C’erano alcuni dei migliori medici che abbiamo in Liberia a occuparsi di noi ma, purtroppo, potevano fare poco per la maggior parte dei malati. Noi pazienti restavamo in isolamento per molto tempo. Trascorrevamo anche 12 ore senza vedere nessuno. E durante quei terribili momenti di solitudine ricordo di aver visto tante persone morire. […] Ebola è una malattia devastante. Ti debilita in modo umiliante. Prosciuga completamente le energie”.
Come ha sconfitto la malattia
“Nonostante tutte le complicazioni cliniche non ho mai avuto emorragie. Questo in generale è un segnale molto buono. Aspettavo che l’emorragia si verificasse un momento dopo l’altro, perché quando pensiamo a Ebola, automaticamente prefiguriamo l’arrivo delle perdite di sangue. Il fatto che non succedesse nulla era confortante per me. Dopo il terzo giorno nel centro di trattamento ho iniziato a sentirmi un po’ meglio. Riuscivo a camminare”.
Phillip è stato dimesso dopo 14 giorni nel centro specialistico. Ad aspettarlo fuori c’erano la famiglia e gli amici più cari, tutti lì per salutarlo. Ma nessuno si avvicinava a lui per paura del contagio. Più lui si avvicinava, più loro si ritraevano, anche se continuavano a festeggiarlo. Tutti si mantenevano distanti.
“Ma li capisco, io per primo non volevo essere la causa di contagio”. Il suo incubo è finito dopo più di un mese di quarantena involontaria. Poi i suoi figli non hanno più resistito e sono corsi ad abbracciare il loro papà.
L’emergenza Ebola non è ancora finita. Ci sono ancora tante altre persone che hanno bisogno di aiuto immediato. Perché vogliamo fare in modo che di storie come quella di Philip ce ne siano molte altre.