Questa storia comincia con una parola gentile e un sorriso rassicurante. Perché è così che si avvicinano i trafficanti di uomini. Ed è sempre con gentilezza che promettono una vita migliore, lontano dalla povertà. Poi, però, la speranza si trasforma in un inferno. Proprio ciò che successe ad Amina, in Kenya.
Quando Amina aveva appena nove anni, arrivò a farle visita una lontana parente, una zia che abitava in città. Si offrì di portare Amina in città e di farla studiare. In cambio, la bambina avrebbe dovuto solo svolgere qualche piccola e noiosa mansione in una casa.
“Che ne pensate? – chiese la zia ai genitori di Amina. – Perché, si sa, non potete permettervi di prendervi cura di tutti i vostri bambini”.
La zia sapeva della condizione di povertà di quella famiglia.
Una volta che Amina arrivò nella metropoli, scoprì che la realtà sarebbe stata ben diversa dalle promesse. Amina lavorava 14 ore al giorno in cucina, facendo le pulizie e badando ai figli di sua zia. Non è mai andata a scuola.
Quando Amina divenne più grande, suo zio mise gli occhi su di lei. Fu violentata ripetutamente. A 16 anni, fu costretta a subire un pericoloso aborto. A questo punto della sua vita, Amina non aveva più aspettative né alcun tipo di fiducia nel mondo.
Un giorno, il proprietario di un negozio di parrucchiere le disse:
“Questa non è vita per te, Amina. Una ragazza come te potrebbe andare in Europa e lavorare come baby-sitter o in un ospedale, e guadagnare bene”.
Amina gli credette e il suo nuovo ‘amico’ organizzò tutto. Quando arrivò nel Regno Unito, il passaporto le fu portato via. Fu chiusa a chiave in una stanza e costretta a subire violenza per soldi anche da 12 uomini al giorno. Era, a tutti gli effetti, una schiava.
“Sei una donna adesso – le veniva detto dai suoi aguzzini. – Questo è tutto ciò che potrai mai avere dalla vita”.
Il suo calvario è durato per due anni, fino a quando riuscì a fuggire e a rivolgersi a organizzazioni che combattono il traffico di esseri umani.
Fonte immagine e storia: ActionAid.org.uk