Sono 40 milioni le persone al mondo costrette in una condizione di sfruttamento. Di queste, 10 milioni sono minorenni. Bambini che non corrono, giocano o studiano, ma la cui vita è segnata da situazioni di grande difficoltà: la schiavitù è ancora una realtà nella vita di tanti, troppi, esseri umani.
Con il termine schiavitù moderna definiamo una situazione di sfruttamento da cui è impossibile o molto difficile scappare, a causa di minacce, violenza, coercizione, inganno o abuso di potere. Secondo il Global Slavery Index 2018, sono 10 i paesi con la più alta prevalenza di schiavitù e sfruttamento: Corea del Nord ed Eritrea, Burundi, Repubblica Centrafricana, Afghanistan, Mauritania, Sud Sudan, Pakistan, Cambogia e Iran. La maggior parte di queste sono nazioni in cui imperversano conflitti, con conseguenti problemi dello stato di diritto, sfollamenti e mancanza di protezione della popolazione. La Corea del Nord, l’Eritrea e il Burundi hanno la più alta prevalenza di lavori forzati imposti dallo Stato stesso.
Lo sfruttamento dei minori
Il 71% dei 40 milioni di esseri umani ridotti in schiavitù sono donne, ragazze e bambine. Le bambine, in particolare, rappresentano più di un terzo di quelle che sono costrette a sposarsi (il 37%), il 18% sono costrette ai lavori forzati e il 21% sono vittime di crimini sessuali. Lo sfruttamento minorile passa anche per le tratte di esseri umani, che trovano nei paesi più sottosviluppati un bacino fertile per giovani disperati a cui promettere un futuro che non arriverà mai.
Almeno 1 su 4 costretto in schiavitù è un bambino, e quasi il 50% svolge un lavoro che mette in pericolo la sua salute, la sua sicurezza e il suo sviluppo, morale e fisico. Sono 152 milioni: questo significa in poche parole, circa un bambino su dieci in tutto il mondo. Il 90% di tutti i bambini ridotti in schiavitù si trovano nelle regioni dell’Asia e del Pacifico, e in Africa dove questa condizione interessa il 20% di tutti i bambini del continente.
Hanno dai 5 ai 14 anni e non hanno mai visto una scuola, vivono senza un’educazione di alcun tipo e in un terzo dei casi sono costretti a lavorare più di 43 ore la settimana, nei campi, nell’industria o nei servizi spesso con immenso rischio di ammalarsi o di rovinare per sempre il proprio corpo. È una realtà per tanti che con l’intento di liberarsi dalla povertà o per mancanza di famiglia e di istituzioni che se ne prendano cura, cadono vittima degli sfruttatori. È il caso dei lavori forzati come dei bambini-soldato, che vengono costretti a impugnare armi più grandi di loro.
La raccolta di questi dati ha anche lo scopo di aiutare a raggiungere l’ottavo punto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile messi a punto dall’ONU: trovare soluzioni efficaci che riescano a porre fine al lavoro forzato, alla schiavitù moderna e alla tratta di esseri umani, nonché al lavoro minorile in tutte le sue forme.
La giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù
Non si tratta solo di prendere coscienza di un fenomeno per tanti aspetti sommerso. Si tratta di capire che questi bambini e adolescenti sono oggi costretti in situazioni che avranno ripercussioni psicologiche allarmanti su tutta la loro vita futura. Il 2 dicembre del 1949, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la Convenzione sulla soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui. In questo giorno ogni anno, cade la Giornata mondiale per l’abolizione della schiavitù, un momento di riflessione e attenzione a questo problema gravissimo che affligge tante persone e minori.
Con l’adozione a distanza ognuno di noi può fare la sua parte per far sì che queste tragedie non si ripetano più.