La Giornata Mondiale contro il Lavoro Minorile, che si celebra il 12 giugno, parla soprattutto di un numero che rappresenta un problema globale: 160 milioni. Questi sono, secondo le ultime stime, i bambini tra i 5 e i 17 anni costretti a lavorare in condizioni pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza, e il loro sviluppo. Non possono giocare e studiare, e la loro vita è una lotta per la sopravvivenza che spesso avviene in luoghi già colpiti da povertà, guerre o disastri naturali, in cui vengono reclutati come bambini-soldato, o costretti a lavorare per strada.
Abolire il lavoro minorile: una sfida possibile
Secondo l’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro istituita nel 1919, abolire il lavoro minorile si può attraverso interventi mirati da parte dei governi, con procedure d’urgenza per contrastarne le forme peggiori. Un’azione globale permetterebbe anche di avvicinarsi all’obiettivo numero 8.7 dell’Agenda ONU 2030, per la quale l’ILO ha lanciato l’Alleanza 8.7 che vuole porre fine, tra le altre cose, anche alla tratta degli esseri umani, alla schiavitù moderna e ai lavori forzati.
I bambini sfruttati sviluppano problemi fisici e psicologici a causa di lavori altamente usuranti, subiscono spesso abusi fisici e psicologici, abbandonano la scuola e sono costretti all’isolamento sociale. Il fenomeno interessa moltissime zone del mondo e una volta dentro è davvero difficile uscirne.
Noi di ActionAid siamo presenti in Nigeria, Zimbabwe, Bangladesh e India, dove portiamo supporto legale e psicologico ai bambini che sono stati costretti a lavorare sin da piccoli, lavoriamo per identificare i datori di lavoro che sfruttano manodopera minorile, forniamo sostegno economico alle famiglie in difficoltà per far sì che non mandino i figli a lavorare, e avviamo campagne di sensibilizzazione tra gli anziani e i leader delle comunità per sensibilizzare sulla problematica.
La giornata contro il lavoro minorile: lo sfruttamento ha tante forme
In Kenya abbiamo inoltre attivato molti programmi di sensibilizzazione per tenere lontani i bambini dal lavoro e garantirgli una formazione. La prima battaglia da vincere è quella contro la povertà. Lo sa bene Njeri, una bambina di 13 anni che da grande vorrebbe diventare una cardiochirurga. È figlia di una raccoglitrice di foglie di tè, ed è un destino che non sceglierebbe mai per sé stessa anche se spesso si trova ad aiutare la madre: “Camminiamo a lungo per raggiungere la fattoria o tornare a casa e i cesti di foglie di tè sono molto pesanti. Però io riesco a raccogliere solo 5 kg al giorno, e a volte finiamo di lavorare nel pomeriggio”. Questo la tiene lontana dalla scuola, anche a causa dei ritardi nei pagamenti delle quote di iscrizione. Stessa situazione per Afaafa, di 12 anni, anche lei figlia di una lavoratrice nelle piantagioni di tè. Entrambe stanno beneficiando del lavoro del progetto triennale con la Ethical Tea Partnership (ETP), e le compagnie che ne fanno parte, Lavazza e Taylors of Harrogate, con cui ActionAid sta supportando gli agricoltori di tè e i lavoratori nelle comunità del Kenya. Gli interventi di formazione e supporto coinvolgono tutti gli attori per favorire la comprensione delle basi di un lavoro etico, migliorare le proprie condizioni di vita ed essere liberi dalla violenza.
In molte parti del mondo i bambini lavorano anche nelle discariche di rifiuti. È stato il caso seguito da ActionAid in Kenya nella località di Mwakirunge dove a 2 km dalla scuola c’è una grande discarica. Spesso, racconta la giovane Rehema di 17 anni, capitava che i compagni abbandonassero la scuola per andare a raccogliere i rifiuti e guadagnarsi da vivere. L’azione di ActionAid è stata quella di sensibilizzare i giovani e gli adulti non solo sui diritti dei bambini, ma anche sul pericolo rappresentato dai rifiuti, stimolando la risposta del governo per dare priorità a come questi vengono gestiti nella comunità di Mombasa. A sfidare i leader, sono stati proprio i ragazzi che sono stati formati all’interno di forum e tavole rotonde organizzate da ActionAid Kenya Bamburi LRP. Da questa attività sono nati gruppi organizzati di ragazzi e ragazze che si battono per la propria salute e il proprio diritto allo studio. Rehema è una di loro, e partecipa alle assemblee della città di Mombasa per portare avanti questi messaggi. Finora, 24 bambini sono tornati a scuola in pianta stabile dopo aver lavorato nelle discariche.
In India, invece, ci sono forme sfruttamento di bambine e donne come il sistema Devadasi. Devadasi, in sanscrito, significa “serva di Dio”; sono bambine, ragazze e poi donne che vengono date in sposa alle divinità, e devono servire attraverso danze e servizi sessuali i padroni del tempio, i sacerdoti e la comunità maschile.
L’usanza deriva da un culto indù molto antico, che viene però declinato a sfruttamento di bambine sotto ai 15 anni che spesso provengono da caste inferiori ed emarginate dell’India. Il loro sfruttamento non è biasimato, proprio perché fa parte di un sistema strutturato e radicato da generazioni. La matrice culturale del rito porta queste giovani donne a diventare Devadasi per decisione dei familiari stretti, dei leader o dei sacerdoti locali, persone che hanno potere decisionale indiscusso su tutti. Una Devadasi è anche vittima di stigma sociale: la mancanza di istruzione, la povertà e la vulnerabilità psicologica costringe le Devadasi ad essere per sempre sfruttate sessualmente e, spesso, a dare alle figlie il loro stesso destino.
Contro il lavoro minorile possiamo fare di più
Il lavoro di ActionAid è dare a questi bambini e a queste bambine la possibilità di sognare un futuro migliore, che segua le proprie attitudini e passioni. Aiutaci anche tu: dona ora!