Si chiama Christine, vive in Kenya, in un piccolo villaggio a West Pokot. È una delle vittime di MGF, la Mutilazione dei Genitali Femminili, una delle più gravi violazioni dei diritti umani a cui ancora oggi sono sottoposte 200 milioni di donne e ragazze in 30 paesi e per combattere la quale il 6 febbraio di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF). È una prassi che in Kenya è formalmente illegale, ma che purtroppo viene ancora praticata clandestinamente nei piccoli villaggi come quello di Christine, perché la tradizione è dura da combattere: finché non l’ha subita, infatti, ha dovuto scontrarsi con i pregiudizi e la discriminazione di membri della sua comunità, che non le permettevano neanche di fare le cose più semplici, come mungere le capre per dare da mangiare alla bambina che aveva avuto in giovanissima età, a conseguenza di un matrimonio forzato.
È stata la fortissima pressione sociale che ha dovuto subire a “convincerla” a sottoporsi alla terribile pratica delle MGF: la mutilazione era vista come “necessaria” per permetterle di venire accettata. Per farla, Christine ha rischiato la vita. Ha iniziato a sanguinare copiosamente, e solo l’intervento di alcune donne della comunità ha evitato il peggio.
MGF: il cambiamento parte dalla cultura
È in questi contesti che l’azione di ActionAid si fa ancora più importante. Perché se da un lato una legislazione che vieti questa pratica è essenziale, dall’altro da sola non è sufficiente per eradicare questo fenomeno; non nell’immediato almeno. Queste situazioni hanno radici molto profonde nella cultura di un popolo e l’unico modo per combattere pregiudizi, scaramanzie e usanze, è un lavoro che parta dalla sensibilizzazione e l’informazione delle comunità coinvolte. L’obiettivo è quello di far comprendere quanto siano elevati i rischi per la salute, fisica e psicologica, di donne e bambine costrette a subire questa pratica. E di superare, attraverso una nuova consapevolezza, questa tradizione dalle origini incerte (collegata, pare, all’idea di preservare la “purezza” di bambine e ragazze), che porta con sé conseguenze spesso tragiche
Oggi, Christine è preoccupata soprattutto per sua figlia. Ha paura che sarà costretta ad andare incontro al suo stesso destino. Nessuno la vorrà in moglie, se non sarà circoncisa. Ma soprattutto rischierà di essere messa da parte nel suo contesto sociale, il motivo principale per cui alla fine la maggioranza delle ragazze cede. L’unica speranza, secondo Christine, è che riesca ad andare in una scuola privata, lontana il più possibile dalla comunità.
La mutilazione dei genitali femminili si combatte un passo alla volta
Christine è stata tra le partecipanti dei seminari che ActionAid ha tenuto nel villaggio e nelle zone limitrofe. Non è un membro stabile di questi eventi, ma ha avuto l’occasione di ascoltare gli interventi organizzati, volti a sensibilizzare la popolazione per contrastare i fanatismi. Christine era convinta che non ci fosse una via d’uscita, perché tutta la vita di una donna nel suo luogo d’origine è strettamente collegata a questo: se non subisci la mutilazione, non hai accesso a molte cose essenziali che fanno parte del naturale percorso di crescita.
Ma, anche grazie agli incontri formativi, ha capito e si è ricreduta. Gli incontri formativi sono gli unici posti in cui è possibile acquisire informazioni, consapevolezza, e favorire la partecipazione anche degli uomini che possono diventare i migliori alleati in questa lotta per eliminare i preconcetti e dare a tutte una possibilità.
Ora, Christine desidera un futuro migliore per la sua unica figlia femmina. Perché, ha dichiarato: “le ragazze che vanno a scuola, non fanno amicizia con le ragazze che non ci vanno”. E in questa frase si respira tutta la pressione sociale che ha subito prima di capire davvero che c’è un luogo principale da cui partire per cambiare davvero le cose. La scuola.
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