14 Settembre 2016
I bambini brasiliani giocano a calcio perché hanno una grande passione. E un talento innato: fin da piccoli sanno tenere un pallone tra i piedi. Però, crescendo, quel pallone rischia di sparire dalle loro vite, insieme ai loro sogni. Come raccontano queste due storie di bambini delle favelas.
- Artur Nascimento. Il calcio, fin da piccolo, era sempre stato la sua passione. Gli bastava vedere in strada qualcosa che somigliasse appena a un pallone per cominciare subito a giocare. Come molti dei bambini della favela di Cidade de Deus, Artur Nascimento ha dovuto imparare a cavarsela da solo. Era spesso in strada. A scuola non ci andava quasi mai. Era un facile obiettivo per le gang della droga.
- José Carlos Lopez. Quando aveva 11 anni, il Governo brasiliano lo costrinse a trasferirsi a Cidade de Deus. Era così bravo da riuscire a ottenere un ingaggio da parte del Bangu, famosa squadra di Rio. José dovette appendere al chiodo gli scarpini per aiutare la famiglia a pagare conti e bollette.
Vivere in una favela non è semplice. Artur e José hanno dovuto impararlo in fretta. Anzi, rischiavano di impararlo a proprie spese, rinunciando ai propri sogni e incamminandosi lungo una strada pericolosa.
Per fortuna, queste due storie sono a lieto fine.
- Artur ha cominciato a frequentare il Centro de Estudos de Ação Cultural e Cidadania, che l’ha tolto dalla strada. Nel 2006, grazie all’interessamento dell’ex calciatore Romario, campione del mondo con il Brasile, Artur ha conquistato un posto nella squadra giovanile del Vasco da Gama.
- José, oggi, s’impegna in prima persona: dirige gli allenamenti di calcio, un modo per dare ai giovani di Cidade de Deus un’alternativa al crimine e alla vita in strada.
E tutto ciò è stato possibile solo perché qualcuno, qualcuno proprio come te, ha deciso di adottare a distanza un bambino del Brasile.