Il Corno d’Africa: una piccola penisola a est del continente che comprende Eritrea, Etiopia, Gibuti e Somalia, ed è all’ultimo posto dell’indice di sviluppo umano nel mondo. La storia di questo pezzo di mondo è da sempre contraddistinta da battaglie, instabilità politica ed estrema povertà, un buco nero sulla cartina che oggi, con l’avanzare del surriscaldamento globale, significa migrazioni e siccità.
Sì, perché il Corno d’Africa è una delle parti del mondo in cui il cambiamento climatico si fa sentire più sentire e si aggiunge a tutti i disastri che lo hanno contraddistinto da sempre. Inondazioni, siccità e carestia. Questo spaccato d’Africa si vede protagonista di una gravissima crisi alimentare, in cui precipitazioni, deforestazione ed erosione del suolo, si verificano contemporaneamente a un aumento della popolazione assolutamente non sostenibile per il territorio. Provocando l’ondata di migrazioni dovute alla siccità.
La situazione in Etiopia è più che peggiorata per la costruzione di una diga capace di fornire elettricità a Egitto, Sudan, Gibuti, Kenya, Uganda, fino allo Yemen. Il problema è che le risorse idriche dipendono dal fiume Omo: sostentamento non solo di 800 mila persone delle tribù, ma anche del 90% dell’acqua del lago Turkana, da cui dipende la sopravvivenza di 8 milioni di nomadi.
Quando manca acqua e sostentamento per le attività lavorative e quindi vitali della popolazione, i conflitti aumentano, in cerca delle risorse per sopravvivere, senza una copertura governativa all’altezza del compito. Spesso sentiamo chiedere cosa vogliono gli esseri umani che bussano alle nostre porte, ma sarebbe bene domandarsi da cosa scappano. E la risposta è che scappano da una terra diventata, letteralmente, infernale, e non solo per le guerre.
La fuga dal clima e i disastri naturali
Le popolazioni del Corno d’Africa, Somalia ed Eritrea, fuggono dalla siccità e dalle carestie, che non ricevono aiuti dai pacchetti di accordi internazionali o dagli aiuti monetari, sempre troppo pochi e inconsistenti. Gli effetti combinati del clima e dei conflitti hanno fatto sì che in queste terre 30 milioni di persone siano letteralmente sull’orlo della fame.
Animali e agricoltura non possono sopravvivere senza acqua e cibo, hanno fame, sono disidratati e non hanno alcuna speranza di sopravvivere, e una delle cause maggiori di morte dei bambini è la diarrea. Non c’è da stupirsi quindi se i dati parlano della fuga, ogni giorno, di 3000 eritrei dalla propria terra. L’Eritrea è stata definita dall’Onu “La Corea del Nord dell’Africa” perché, oltre a tutto questo, ospita una delle dittature più spietate del mondo.
Le prospettive future
Se si cominciasse oggi ad agire davvero responsabilmente per risolvere questi drammi e ridurre l’effetto serra, il numero di persone che è costretta a fuggire da queste terre a causa di problemi ambientali si ridurrebbe dell’80%. Di questo passo invece, nel 2050, i migranti ambientali come vengono definiti quelli che devono per forza abbandonare una terra non più ospitale, diventeranno 143 milioni in tutto il mondo ma soprattutto dall’Africa Sub-sahariana.
Nel 2008 l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni riconosceva l’esistenza di questo fenomeno, e dieci anni dopo definisce certo che le popolazioni del Corno d’Africa scappano da una “combinazione di conflitti e perdita di mezzi di sussistenza dovuta a una diminuzione delle terre produttive e del bestiame”. Già nel 1985 le Nazioni Unite li definivano “rifugiati ambientali” e la parola è stata inserita nel 1997 nel Glossario di Statistiche Ambientali.
I bambini che scappano da queste terre, spesso non hanno neanche realizzato che il motivo della loro fuga ha radici così profonde come quelle legate all’ambiente. Hanno subito le conseguenze e ne ricordano le sensazioni sulla pelle: la paura, l’insicurezza, il bisogno di cibo, di lavoro e di scuola. Per prevenire le conseguenze causate da questi fenomeni c’è bisogno anche del tuo aiuto: con soli 82 centesimi al giorno puoi garantire cure sanitarie ai bambini che vivono negli stati del Corno d’Africa.